ridisegno sede di Via Corte d’Appello . Torino
Lapo Ruffi
La prima necessità emersa dopo il sopralluogo è stata di liberare lo spazio. La forma disegnata dai limiti di progetto diviene interessante, relazionandosi morfologicamente a via Corte d’Appello.
L’atrio d’ingresso appare come una dilatazione della strada, che sembra voler entrare nella pancia della costruzione, riscoprendo il carattere pubblico originariamente conferito da Melis al Salone. Colpisce l’accostamento delle pietre in facciata, l’uso del metallo e del vetro con i suoi significati reconditi. L’obiettivo del concorso appare come la necessità di conferire una valenza rappresentativa a un luogo che deve raccogliere al suo interno differenti funzioni. Come si può restituire dignità e funzionalità al Salone del Pubblico?
Il progetto nasce dalla sensazione di libertà che gli spazi vogliono suscitare in chi li percorre; il soffitto si smaterializza, espande la sezione, proiettando una luce diffusa attraverso un cielo di vetro che corre su tutta la superficie visibile. I limiti si perdono, la sala diviene una cassa di risonanza delle differenti luci che la penetrano, rimbalzando sui volumi adagiati liberamente sotto un solaio aereo, sopra un pavimento granitico; una linea d’ombra all’attacco a terra restituisce una sensazione di sospensione alle stanze, che definiscono una composizione che astrae il tessuto della città.
Come Melis ha lavorato alla connessione delle parti tramite accostamenti materici, qui gli elementi scoprono una tensione interna, perdono una definizione precisa, la dissoluzione dei limiti ricercata tramite nuovi accostamenti favorisce la volontà di scoperta, restituendo al salone una dinamicità oggi perduta. Un’infilata di strade e piazze e giardini scandiscono i flussi interni, ricostruendo una condizione di urbanità all’interno dell’edificio, dove le stanze costituiscono dei piccoli ambienti autonomi, risolvendo il programma di concorso in una sorta di microurbanistica.
La piazza centrale torna ad essere il fulcro del Salone, dove nuovi spazi trovano un proprio disegno tra la composizione dei solidi, favorendo un’alternanza tra luoghi intimi e rappresentativi; da questo impianto planimetrico si svela la nuova anatomia delle sale, definite a partire da una sala riunioni, un punto informativo, il centralino ed un’area di ristoro con una terrazza-giardino che corre sul muro verso la corte interna. La sequenza dei volumi prosegue nella definizione degli spazi “pubblici”, di sosta e d’incontro, determinando la formazione di luoghi più raccolti, racchiusi da un lato dalle due sale riunioni e l’aula conferenze da 20 persone, dall’altro dal blocco dei servizi e dai muri perimetrali.
La profondità dell’atrio d’ingresso viene esaltata dalla disposizione delle stanze che vi si affacciano; mantenendo libera la vista dall’ingresso degli uffici amministrativi fino alla reception e all’aula conferenze per 16 persone, viene garantita un’area di controllo delimitata da tornelli con bollatrici che filtrano i flussi di clienti e dipendenti in una soluzione di continuità tra i due blocchi REI ed il Salone. Questa strategia spaziale fa nascere dei luoghi individuali, intimi; crea dei microambienti, che rispondono alle esigenze acustiche e introspettive delle differenti funzioni che le stanze accolgono.
Come una piccola città in sé, questo susseguirsi di spazi ribalta l’attuale disposizione funzionale in nuova visione che il progetto tenta d’immaginare; con i suoi richiami materici, il controllo della luce, la composizione di volumetrie solide ed eteree, l’architettura per prima tende ad esprimere una nuova immagine di Reale Mutua. Due tipi di comunicazioni grafiche arricchiscono i percorsi interni: lungo i muri in stucco pannelli informativi descrivono l’evoluzione costante dei servizi offerti, mentre teche espositive contengono piccoli allestimenti e oggetti emblematici della filosofia della Società.
La superficie di rivestimento dei volumi si scopre tramite l’utilizzo di profili verticali in ottone, che montati con passi differenti suscitano una vibrazione dello spazio; i corpi sono come nudi, il loro scheletro diviene finitura, componendo prospettive le cui fughe contengono dilatazioni e contrazioni, soste e ripartenze. Il Salone s’impregna di luce dorata, riflessa nel metallo che restituisce carattere all’ingresso: dove un calore diffuso accoglie il visitatore solide trasparenze svelano il farsi dello spazio. La struttura esistente puntiforme viene contenuta in setti tecnici arredati, che a loro volta scompaiono dietro agli esili filamenti metallici che rivestono le stanze, filtrando la luce e le visuali tra gli spazi funzionali e le aree d’accoglienza. Uno dei pilastri centrali non originali viene rimosso, permettendo di avere un’adeguata misura nella piazza principale, mentre un sistema di travi ricalate assorbe i carichi ripartendoli nelle colonne adiacenti, scomparendo dentro al controsoffitto vetrato, citazione dell’originale lucernario centrale.
Un vetro satinato scherma ed isola i corpi funzionali, che appaiono come grandi lanterne sospese, al cui interno le ombre generate da differenti gradazioni di opacità danno vita a nuove suggestioni luminose, proseguendo le atmosfere ricercate degli edifici storici di Torino. Il pavimento in graniglia di marmo e cemento, evoca alcuni dei materiali utilizzati in origine, come la sienite della Balma o i marmi della sala originale, contenendo al suo interno il sistema di climatizzazione; le aperture che si affacciano sul lato lungo della corte divengono porte-finestre per accogliere una maggiore quantità di luce, filtrata dalla terrazza-giardino a sbalzo che contamina la corte tramite lo stesso sistema costruttivo-materico interno, in una continua contaminazione tra passato e contemporaneo.
La luce di gala tocca le pietre in facciata, filtra tra i metalli, entra nell’atrio e viene risucchiata al centro verso la terrazza, sfondo dello spazio: qui la luce esce, ritornando al cielo della città, immaginato dai vetri dei soffitti, completando un percorso che si rinnova continuamente. Il nuovo disegno definisce un percorso che si lega immaginariamente al clima, al colore del cielo, alla scansione dei momenti della giornata, indissolubilmente al tempo, da cui l’edificio protegge e aggiorna, il tempo come qualità e come quantità; il Salone diviene un luogo in tempo reale, in cui il cielo riprodotto dal soffitto mostra un incanto e nello stesso momento un riparo dagli accadimenti dello scorrere del tempo, l’assicurazione di una protezione costante per le persone che ne fanno parte. Le prospettive cambiano a seconda della posizione dell’osservatore, i luoghi da raccolti si dilatano cogliendo la totalità della sala, tessendo un’invisibile conversazione tra il Senato Sabaudo, la strada, il Salone, la corte, il cielo sopra Torino.
“il Salone” REALE MUTUA per il ridisegno degli spazi di accoglienza al pubblico della sede storica societaria di Via Corte d’Appello
Lapo Ruffi
La prima necessità emersa dopo il sopralluogo è stata di liberare lo spazio. La forma disegnata dai limiti di progetto diviene interessante, relazionandosi morfologicamente a via Corte d’Appello.
L’atrio d’ingresso appare come una dilatazione della strada, che sembra voler entrare nella pancia della costruzione, riscoprendo il carattere pubblico originariamente conferito da Melis al Salone. Colpisce l’accostamento delle pietre in facciata, l’uso del metallo e del vetro con i suoi significati reconditi. L’obiettivo del concorso appare come la necessità di conferire una valenza rappresentativa a un luogo che deve raccogliere al suo interno differenti funzioni. Come si può restituire dignità e funzionalità al Salone del Pubblico?
Il progetto nasce dalla sensazione di libertà che gli spazi vogliono suscitare in chi li percorre; il soffitto si smaterializza, espande la sezione, proiettando una luce diffusa attraverso un cielo di vetro che corre su tutta la superficie visibile. I limiti si perdono, la sala diviene una cassa di risonanza delle differenti luci che la penetrano, rimbalzando sui volumi adagiati liberamente sotto un solaio aereo, sopra un pavimento granitico; una linea d’ombra all’attacco a terra restituisce una sensazione di sospensione alle stanze, che definiscono una composizione che astrae il tessuto della città.
Come Melis ha lavorato alla connessione delle parti tramite accostamenti materici, qui gli elementi scoprono una tensione interna, perdono una definizione precisa, la dissoluzione dei limiti ricercata tramite nuovi accostamenti favorisce la volontà di scoperta, restituendo al salone una dinamicità oggi perduta. Un’infilata di strade e piazze e giardini scandiscono i flussi interni, ricostruendo una condizione di urbanità all’interno dell’edificio, dove le stanze costituiscono dei piccoli ambienti autonomi, risolvendo il programma di concorso in una sorta di microurbanistica.
La piazza centrale torna ad essere il fulcro del Salone, dove nuovi spazi trovano un proprio disegno tra la composizione dei solidi, favorendo un’alternanza tra luoghi intimi e rappresentativi; da questo impianto planimetrico si svela la nuova anatomia delle sale, definite a partire da una sala riunioni, un punto informativo, il centralino ed un’area di ristoro con una terrazza-giardino che corre sul muro verso la corte interna. La sequenza dei volumi prosegue nella definizione degli spazi “pubblici”, di sosta e d’incontro, determinando la formazione di luoghi più raccolti, racchiusi da un lato dalle due sale riunioni e l’aula conferenze da 20 persone, dall’altro dal blocco dei servizi e dai muri perimetrali.
La profondità dell’atrio d’ingresso viene esaltata dalla disposizione delle stanze che vi si affacciano; mantenendo libera la vista dall’ingresso degli uffici amministrativi fino alla reception e all’aula conferenze per 16 persone, viene garantita un’area di controllo delimitata da tornelli con bollatrici che filtrano i flussi di clienti e dipendenti in una soluzione di continuità tra i due blocchi REI ed il Salone. Questa strategia spaziale fa nascere dei luoghi individuali, intimi; crea dei microambienti, che rispondono alle esigenze acustiche e introspettive delle differenti funzioni che le stanze accolgono.
Come una piccola città in sé, questo susseguirsi di spazi ribalta l’attuale disposizione funzionale in nuova visione che il progetto tenta d’immaginare; con i suoi richiami materici, il controllo della luce, la composizione di volumetrie solide ed eteree, l’architettura per prima tende ad esprimere una nuova immagine di Reale Mutua. Due tipi di comunicazioni grafiche arricchiscono i percorsi interni: lungo i muri in stucco pannelli informativi descrivono l’evoluzione costante dei servizi offerti, mentre teche espositive contengono piccoli allestimenti e oggetti emblematici della filosofia della Società.
La superficie di rivestimento dei volumi si scopre tramite l’utilizzo di profili verticali in ottone, che montati con passi differenti suscitano una vibrazione dello spazio; i corpi sono come nudi, il loro scheletro diviene finitura, componendo prospettive le cui fughe contengono dilatazioni e contrazioni, soste e ripartenze. Il Salone s’impregna di luce dorata, riflessa nel metallo che restituisce carattere all’ingresso: dove un calore diffuso accoglie il visitatore solide trasparenze svelano il farsi dello spazio. La struttura esistente puntiforme viene contenuta in setti tecnici arredati, che a loro volta scompaiono dietro agli esili filamenti metallici che rivestono le stanze, filtrando la luce e le visuali tra gli spazi funzionali e le aree d’accoglienza. Uno dei pilastri centrali non originali viene rimosso, permettendo di avere un’adeguata misura nella piazza principale, mentre un sistema di travi ricalate assorbe i carichi ripartendoli nelle colonne adiacenti, scomparendo dentro al controsoffitto vetrato, citazione dell’originale lucernario centrale.
Un vetro satinato scherma ed isola i corpi funzionali, che appaiono come grandi lanterne sospese, al cui interno le ombre generate da differenti gradazioni di opacità danno vita a nuove suggestioni luminose, proseguendo le atmosfere ricercate degli edifici storici di Torino. Il pavimento in graniglia di marmo e cemento, evoca alcuni dei materiali utilizzati in origine, come la sienite della Balma o i marmi della sala originale, contenendo al suo interno il sistema di climatizzazione; le aperture che si affacciano sul lato lungo della corte divengono porte-finestre per accogliere una maggiore quantità di luce, filtrata dalla terrazza-giardino a sbalzo che contamina la corte tramite lo stesso sistema costruttivo-materico interno, in una continua contaminazione tra passato e contemporaneo.
La luce di gala tocca le pietre in facciata, filtra tra i metalli, entra nell’atrio e viene risucchiata al centro verso la terrazza, sfondo dello spazio: qui la luce esce, ritornando al cielo della città, immaginato dai vetri dei soffitti, completando un percorso che si rinnova continuamente. Il nuovo disegno definisce un percorso che si lega immaginariamente al clima, al colore del cielo, alla scansione dei momenti della giornata, indissolubilmente al tempo, da cui l’edificio protegge e aggiorna, il tempo come qualità e come quantità; il Salone diviene un luogo in tempo reale, in cui il cielo riprodotto dal soffitto mostra un incanto e nello stesso momento un riparo dagli accadimenti dello scorrere del tempo, l’assicurazione di una protezione costante per le persone che ne fanno parte. Le prospettive cambiano a seconda della posizione dell’osservatore, i luoghi da raccolti si dilatano cogliendo la totalità della sala, tessendo un’invisibile conversazione tra il Senato Sabaudo, la strada, il Salone, la corte, il cielo sopra Torino.
“il Salone” REALE MUTUA per il ridisegno degli spazi di accoglienza al pubblico della sede storica societaria di Via Corte d’Appello
0 comentarios :
Publicar un comentario